Riceviamo e pubblichiamo un articolo sulla materia iniziatica certamente interessante per i cercatori dello spirito
“Quale uomo oserebbe camminare senza purificarsi, poiché non può fare un passo senza portare il piede sui gradini dell’altare?” Louis-Claude de Saint-Martin
Quasi nulla di ciò che accade ha un significato univoco: la nostra reazione ad un evento dipende dal valore che noi diamo all’evento stesso. Per questo, l’accensione di un cero da parte di un Maestro Venerabile ha un valore ben diverso dall’accensione di una candela nel momento in cui viene a mancare la corrente elettrica. In termini ancora più immediati, il medesimo gesto atletico compiuto da uno sportivo suscita reazioni diametralmente opposte nei due campi della tifoseria.
Da questi esempi risulta chiara l’importanza delle azioni alle quali una comunità riconosce uno o più significati non incompatibili tra loro: in breve, le azioni rituali.
Secondo l’Enciclopedia Treccani, “Etimologicamente il termine r[ito] discende dal sanscr. r̥tà-, che è concetto fondamentale della religione vedica, significando l’ordine cui devono conformarsi sia il cosmo sia la società sia l’individuo; a esso si conforma evidentemente anche l’azione sacra, mentre deviando da esso rischierebbe di rompere l’ordine, provocando conseguenze dannose”. Il rito implica dunque, in primo luogo, lo sforzo di mettere ordine in quella che all’uomo sembra una sgangherata ed imprevedibile sequenza di pensieri, sentimenti e percezioni sensoriali, indotti dal mondo dei fenomeni.
Il rito è un complesso ordinato di singole cerimonie rituali, che esprimono i valori della comunità che li adotta. Questo è vero tanto a livello religioso, che civile od iniziatico. In quest’ultimo caso, peraltro, il significato rituale può essere lasciato “aperto”, cioè lasciato apparentemente alla libera interpretazione di ognuno. Il rischio di interpretazioni antitradizionali dovrebbe in tal caso essere escluso a monte, essendo i rituali iniziatici inaccessibili alla grande massa di quello che, sbrigativamente, viene definito “mondo profano”.
Rituale ed eggregore
Il rituale è anzitutto lo strumento per eccellenza per entrare in contatto con l’eggregore della comunità. Con l’iniziazione si crea un varco nella catena eggregorica, nel quale il candidato deve essere abbastanza coraggioso da incunearsi rapidamente. Del resto, “il Regno dei Cieli è preso a forza e i violenti se ne impadroniscono” (Mt. 11,12). Questa apertura, premio del coraggio e della tenacia del candidato, è infatti di breve durata ed egli rischia di essere letteralmente risputato fuori se non riuscirà a tenere il passo col ritmo dell’eggregore. Il rituale di iniziazione è in sostanza indelebile, ma non per questo risolutivo.
Ad esempio, l’Apprendista parte da una situazione apparentemente svantaggiosa (è privo della parola, siede al Nord), ma con la perseveranza è chiamato ad integrarsi nell’eggregore. I Fratelli sono (o dovrebbero essere) al suo fianco in questa delicatissima fase, quasi una nuova nascita.
In diversi ordini che prevedono un’operatività individuale, essa inizia con un semplice ritualino quotidiano che ha principalmente la funzione di collegamento con l’eggregore. L’attività rituale del neofita respira in tal modo allo stesso ritmo degli altri Fratelli e serve a stabilire una connessione che è o dovrebbe essere bidirezionale: il neofita viene sospinto dalla forza dell’eggregore per il solo fatto di fare lo sforzo, in questa fase tutt’altro che banale, di collegarsi ad esso. È noto, infatti, che la forza di quell’essere artificiale eppure intelligente chiamato eggregore è ben maggiore della somma delle energie dei singoli anelli della catena, cioè dei suoi membri.
Chiaramente è possibile, almeno in linea teorica, stabilire un collegamento anche con Maestri passati od entità superiori.
Il tipo di rituale dipende ovviamente dai valori condivisi dalla comunità, ed esso conferirà una particolare fisionomia all’eggregore della comunità stessa. Ad esempio la Massoneria, lavorando alla gloria del Grande Architetto dell’Universo, ha una qualità eggregorica ben diversa da un club service.
Rituale ed abbandono dei metalli
Poiché, come visto, l’essere umano è terrorizzato dal caos che apparentemente gli si para davanti agli occhi almeno quanto dall’assenza totale di stimoli esterni (una sorta di horror vacui), il rituale è lo strumento per creare una separazione tra il flusso dei fenomeni, di cui ci sfugge il significato, ed un contesto in cui è possibile la manifestazione di un senso.
Nessuno di noi sfugge alla necessità del conforto rituale, perché ci consente di vedere un ordine nel caos apparente: tutti noi abbiamo dei piccoli rituali quotidiani, dalla lettura del quotidiano per alcuni alla preghiera serale per altri, dal brunch del sabato alla messa domenicale.
In quel microcosmo tutto acquista un significato e la ripetizione costante lenisce la nostra paura dell’inaspettato. Del resto, ci hanno insegnato che il tempo è lineare, ma tutto il nostro essere ci suggerisce come invece esso sia ciclico. Le cosiddette “ricorrenze” sono giorni benedetti, poiché ci mostrano che il tempo è un serpente che si morde la coda. È sufficiente osservare la natura per accorgersene: l’esempio più lampante è quello dell’alternarsi delle stagioni, cambiamenti climatici permettendo.
Il rituale per eccellenza è quello che crea le condizioni per portarci completamente al di fuori dalle spire del serpente di cui sopra, per agevolare la comunione con Colui che è, era e sarà per sempre: il rituale sacro. Non se ne abbia a male il lettore se di nuovo ci rifacciamo all’autorità della Treccani: “ciò che è sacro è separato, è altro, così come sono separati dalla comunità sia coloro che sono addetti a stabilire con esso un rapporto, sia i luoghi destinati ad atti con cui tale rapporto si stabilisce”.
È altresì interessante notare che il luogo del rituale sacro è detto in italiano tempio, dal lat. templum, da una radice affine al gr. τέμενος «recinto sacro», τέμνω «tagliare».
Il rituale crea quindi una sorta di bolla spazio-temporale alla quale le apparenti distonie del mondo esterno non possono accedere. Esse sono rappresentate in Massoneria dai metalli, poiché durante la costruzione del Tempio di re Salomone “non si udì un rumore di martelli di piccone o di altro arnese” (Re, I 7).
Il rituale, in conclusione, svolge la stessa funzione del girello per l’infante, il quale vi rinforza le sue gambette per imparare a camminare come si conviene ad un uomo. Quando però avrà stabilmente acquisito la stazione eretta, nessuno potrà più convincerlo a tornare nel girello.
La scuola del rituale
Gli ordini iniziatici quali la Massoneria hanno portato fino alle estreme conseguenze l’idea di uno sviluppo spirituale attraverso la pratica rituale. I vari sistemi di alti gradi testimoniano il tentativo di costruire un percorso in più stadi che si conclude con il promesso svelamento di un grande segreto, magari affascinante per un uomo del Settecento ma non di rado deludente per l’uomo istruito di oggi: filiazioni templari od egizie più o meno fantasiose, ricette magiche improbabili od addirittura pericolose, alterazioni o deviazioni dalla scienza tradizionale sono all’ordine del giorno.
Bisognerebbe avere l’onestà intellettuale di spiegare che la pratica dei rituali ha in sé stessa il suo premio, poiché ciclicamente riporta l’iniziato a fare i conti con sé medesimo in un contesto protetto, anche attraverso gli scambi reciproci con gli altri membri della comunità. Come una sorta di ciclico reminder, il rituale “ci richiama all’ordine” – espressione quanto mai pertinente.
Ci sono poi scuole che prevedono grandi operatività teurgiche, in genere in momenti astrologici precisi. Si intravede qui il rischio dell’orgoglio di pensare di prendere parte ad un rituale “più potente” perché apparentemente più solenne o più cervellotico: eppure dovrebbe essere chiaro che l’efficacia del rituale dipende dal grado di purezza dell’operante e dalla forza dell’eggregore o del Maestro a cui egli si va a collegare.
Basterebbe in proposito ricordare il Vangelo, un testo che oramai è alla portata di tutti: “Non chiunque mi dice: Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli. Molti mi diranno in quel giorno: Signore, Signore, non abbiamo noi profetato nel tuo nome e cacciato demòni nel tuo nome e compiuto molti miracoli nel tuo nome? Io però dichiarerò loro: Non vi ho mai conosciuti; allontanatevi da me, voi operatori di iniquità” (Mt. 7, 21-23).
L’altro rischio è quello che il popolino identifica nella grossolana espressione: “Passata la festa, gabbato lo santo”. Non ha alcun senso eseguire magistralmente un rituale equinoziale se gli altri 363 giorni dell’anno non si seguono le leggi dell’etica, ricavabili a piacere dai Dieci Comandamenti o dai Versi Aurei di Pitagora quanto dagli yama ed i niyama degli Yoga Sutra.
Per un atleta olimpico, infatti, la preparazione non comincia a ridosso del grande evento, ma è stile di vita ed impegno quotidiano. Ricordiamo l’insegnamento del gallo nel gabinetto di riflessione: vigilanza e perseveranza!
Poiché il Tempio è tutto l’universo, possa la nostra vita dipanarsi come un unico, infinito rituale.
Claude Purusha