di Marcello Mura
Vorrei raccontarvi le riflessioni che sto conducendo su un breve passo delle Sacre Scritture, un racconto di poche righe che sembra inserito quasi distrattamente nel Libro della Genesi. Per svilupparle mi sono trovato ad esplorare una dimensione storica ma nel contempo extra-temporale, vagando in un contesto forse eterodosso sebbene nel contesto della Tradizione.
Su un piano storico la Bibbia è una estesa biblioteca scritta nell’arco di mille anni, in tante lingue e tanti luoghi diversi, frutto di numerose e diverse culture e Tradizioni; qualche volta sembra oscillare tra opposti apparentemente inconciliabili e contradditori, questo metaforicamente perché l’unità, l’univocità, l’immutabilità appartengono ad una realtà sovra-umana, e perché in tal modo l’Altissimo ha concesso pluralità di vedute e interpretazioni, donando maggiore libertà alle Sue creature.
I rabbini dicono infatti “girala e rigirala, perché Tutto è in Essa”.
I cristiani e gli ebrei intendono la Scrittura come Rivelazione divina trasmessa a Mosè sul Sinai: ispirata da D*o ma recepita, interpretata, trascritta e tramandata da uomini con linguaggio umano; è il Principio preesistente reso manifesto da Bereshit nella Genesi: esprime e suggerisce la Verità, trasmessa da bocca ad orecchio mediante una catena ininterrotta che è la Tradizione.
È scritta in epoche storiche diverse mediante affermazioni talora enigmatiche e sconcertanti, peraltro in modalità sintetica e sibillina, nell’ebraico antico in forma solo consonantica perché le vocali e la punteggiatura attengono esclusivamente al Divino.
Chi la legge e la studia può vocalizzarla con interpretazioni sonore e significati diversi: non è un testo fisso e sclerotizzato, ma sempre nuovo, fonte di dialogo continuo e rapporto intimo con l’Altissimo: individuale, personale e personalizzabile purché nel contesto della Tradizione.
D*o parla a ciascuno di noi, ha concesso ad ognuno la libertà di interpretare le Sue parole secondo la propria spiritualità e competenza.
Se Esse viceversa producessero un significato univoco, vi sarebbe non già uniformità ma anzi appiattimento e intransigenza intellettuale e morale, senza libertà alcuna né apertura al confronto nè spazio di crescita: sarebbe la voce omologata e totalitarista di un idolo pagano, che per definizione non è vivente, non è fecondo e non produce frutti.
Il Signore si presentò infatti a Mosè sul Sinai (Esodo 3,6) come «il D*o di tuo padre, il D*o d’Abramo, il D*o d’Isacco e il D*o di Giacobbe». Non il D*o di tutti, ma il D*o di ciascuno, si rapporta intimamente con ogni uomo, e rispetta e promuove le differenze individuali, le peculiarità e la pluralità.
Trovare sé stessi, scoprire l’irriducibilità in tal senso equivale a trovare D*o; anche il termine ebraico “Kadosh”, cioè santo, è sinomino di “distinto”.
La Bibbia ci parla nel presente, rinnovandosi di continuo oltre ogni arbitrarietà, pur nella immutabilità della Tradizione.
Non insegna verità relative o transitorie che perdono di valore col passare del tempo: esse erano attuali ai tempi di Mosè e dei nostri padri e sono parimenti attuali e continuamente rinnovate per noi.
I Maestri insegnano che il Santo Benedetto pronunciò la Bibbia in Principio in unico fiato e unica emissione vocale, Mosè la ricevette e traspose in linguaggio umano, per questo appare così articolata e complessa, e tuttora noi stessi la recepiamo in maniera dinamica con i nostri sensi.
Essa suscita una molteplicità di ascolti, in 70 lingue, 70 sensi, 70 significati, 70 gusti (come i vini diversi): sono le tante facce di uno stesso prisma, che ognuno coglie secondo le proprie capacità e la propria prospettiva.
Forse quest’unico fiato pronunciato dall’Altissimo fu l’Aleph, lettera muta: composto da Aleph stessa (Anì/Anochì, Io, D*o), Lamed (istruire, imparare, parlare), Peh (la bocca): il Santo Benedetto parla con la bocca, e con le Sue parole crea.
Si racconta anche che il Signore giocasse con le Lettere della Torah, adoperandole per costruire il Creato, e le adornasse con delle coroncine. Mosè gli chiese spiegazioni, e il Santo Benedetto rispose: “verrà un Maestro, chiamato Aqivà Ben Joseph, che userà queste Lettere per creare tante norme e narrazioni”.
Mosè chiese a di poter vedere questa persona, e allora D*o lo proiettò in un banco della scuola rabbinica, ove Rabbi Aqivà spiegava concetti astrusi e incomprensibili a Mosè stesso.
Un allievo chiese allora al Rabbino: “come fai ad affermare che i tuoi insegnamenti sono corretti? Da dove li deduci?”, ed egli rispose: “sono stati consegnati dall’Altissimo a Mosè sul Sinai”.
Questo significa davvero che la Bibbia è sempre attuale e moderna, dinamica, sconcertante e provocatoria, non è prodotto immobile, inerte e sterile, e che l’interpretazione orale non può essere scissa dalla forma scritta. E’ l’antico simbolo della scacchiera, che allude agli opposti che si integrano e completano nel duale, e manifestano in tal modo l’insieme e il Tutto.
La Sacra Scrittura non è un libro scientifico o geologico o normativo, ha diversi livelli: poetico, descrittivo-letterale, normativo, allegorico, etico-esortativo, filosofico, intimo-spirituale, mistico.
Nell’ebraismo rabbinico il metodo di lettura ed esegesi dei vari livelli è quello del PaRDeS (che significa Giardino o Paradiso in lingua ebraica).
Pardes è un acronimo che allude ai diversi livelli:
- Peshat o significato superficiale o letterale.
- Remez o significato allusivo e allegorico.
- Derash esorta all’indagine, alla ricerca, al confronto con eventi in qualche modo simili.
- Sod è il significato misterioso e mistico.
Anche l’Islam, per opera dell’ Imam Ja’far al-Sadiq, riferisce simili livelli rinvenibili nel Corano:
– l’espressione letterale concessa alla gente comune
– l’allusione riservata agli intellettuali
– le sottigliezze per gli amici intimi di D*o, forse gli illuminati e i mistici
– le realtà più profonde sono per i profeti
La Bibbia è un immenso “gioco” alfanumerico, musicale e poetico, in cui parole e lettere hanno valore numerico e si ripetono in maniera non casuale, si richiamano e inseguono lungo tutto il flusso del Testo: la Bibbia va vista nella sua interezza, non è legittimo decontestualizzare frasi ed eventi in essa narrati, e va anche considerata in un tempo quasi aoristico, fuori da quello percepito dagli uomini.
Un esempio potrebbe essere la prima lettera della Torah, Beth di Bereshit, che congiunta all’ultima, Lamed di Israel, può alludere a Lev, il cuore, perché si ritiene che la Bibbia risieda nel cuore di ogni uomo; dobbiamo anche considerare che Lev ha valore numerico di 32 nella Cabbalah: è la somma delle 10 Sefiròt e delle 22 lettere dell’alfabeto, sono i sentieri che conducono ai segreti della Torah.
Pensiamo anche alle vicende di Re Salomone, figura da venerare perché edificò il Tempio al Signore, ma che in fin di vita si legò all’idolatria, facendo “ciò che è male agli occhi del Signore”. Gli opposti si inseguono, si confrontano, si contraddicono, stimolano al dibattito, si completano.
Piuttosto che su singole entità, la Bibbia ragiona spesso in merito alla categoria del duale, il numero grammaticale ben distinto dal singolare e dal plurale, l’insieme di due persone o cose o polarità diverse o addirittura opposte, in rapporto dialettico e costruttivo.
Il Testo Sacro inizia con la Beth, la “B”, e non con la “A”: allude ancora una volta alla pluralità: più numerosi sono i quesiti, più sono le possibili soluzioni, e gli uni e le altre possono essere anche sconcertanti.
Nella creazione stessa, D*o crea alternativamente elementi superiori ed elementi inferiori sul piano cosmologico e geografico e li mette in relazione.
Infatti in Principio creò il cielo e la terra, il secondo giorno creò il firmamento, nel terzo separò la terra dalle acque, nel quarto creò i luminari nel cielo, nel quinto animali e piante (quindi elementi terrestri), nel sesto l’uomo fatto di terra (Adamà) ma con alito divino (Nefesh) peraltro impastando il bene e il male in un’unica entità, in modo da favorire la dialettica: l’Altissimo compensa ed equilibra le due opposte polarità del cielo e della terra.
Si parla di Tradizione scritta (la Torah scritta per gli ebrei, la Bibbia con Antico e Nuovo Testamento per i cristiani), e di Tradizione Orale (l’interpretazione Rabbinica e il Magistero della Chiesa Cattolica), entrambe sono necessarie e vincolanti, entrambe sacre.
Ma da dove trae legittimità la Tradizione Orale quale interpretazione sacra di quella Scritta?
Dal fatto che sta scritto nel Deuteronomio: “Non devierete da ciò che vi diranno (i Maestri), né a sinistra né a destra” (17, 11), ed anche: “Ricorda i giorni del tempo antico, medita gli anni lontani. Interroga tuo padre e te lo farà sapere, i tuoi vecchi e te lo diranno” (32-7).
La Bibbia è un accordo tra l’Altissimo e l’uomo, è un contratto in cui anche l’uomo è parte attiva come interlocutore tra i contraenti, pertanto tradurre, interpretare, dibattere, dialogare, tramandare e ricevere, significa che l’uomo è partecipe fattivo di tale contratto.
E maggiori sono le divergenze e le interpretazioni, maggiori sono le alternative e le possibilità: è un dono di libertà.
Veniamo ora all’argomento odierno, la Torre di Babele, di cui si parla in Genesi 11,1-9.
Tutta la terra aveva un’unica lingua e le medesime parole.
Emigrando dall’oriente, gli uomini capitarono in una pianura nella regione di Sinaar e vi si stabilirono.
Si dissero l’un l’altro: «Venite, facciamoci mattoni e cuociamoli al fuoco». Il mattone servì loro da pietra e il bitume da malta.
Poi dissero: «Venite, costruiamoci una città e una torre, la cui cima tocchi il cielo, e facciamoci un nome, per non disperderci su tutta la terra».
Ma il Signore scese a vedere la città e la torre che i figli degli uomini stavano costruendo.
Il Signore disse: «Ecco, essi sono un unico popolo e hanno tutti un’unica lingua; questo è l’inizio della loro opera, e ora quanto avranno in progetto di fare non sarà loro impossibile.
Scendiamo dunque e confondiamo la loro lingua, perché non comprendano più l’uno la lingua dell’altro».
Il Signore li disperse di là su tutta la terra ed essi cessarono di costruire la città.
Per questo la si chiamò Babele, perché là il Signore confuse la lingua di tutta la terra e di là il Signore li disperse su tutta la terra.
Ma il senso del racconto è quello della punizione?
Potrebbe, certo: si stigmatizza l’idolatria pagana, il culto fallico è evidente, e si narra di antiche divinità politeiste vendicative, le cui narrazioni possono essere confluite nel racconto biblico.
La prospettiva potrebbe essere viceversa quella della immancabile conseguenza di un atto autolesivo, dell’ambizione arrogante di autosufficienza spirituale: mentre D*o ordinò a Noè di costruire un’Arca per la Salvezza, in occasione dell’evento di Babele, l’uomo cerca la salvezza da un nuovo diluvio mediante un oggetto che egli stesso ha voluto individuare e progettare; così facendo però pretende di costruire senza sapere progettare, vuole adoperare materiali impropri (il mattone al posto della pietra e il bitume al posto della malta) per una costruzione impropria.
“Se il Signore non costruisce la casa, invano vi faticano i costruttori” (Salmo 127).
Queste genti costruirono una torre con i mattoni, come gli egiziani schiavisti costruivano templi con pietre artificiali ai loro déi, è sinonimo di schiavitù dell’idolatria: cercavano non una relazione personale col Signore ma una strumentale per plagiarlo a proprio piacimento.
L’uomo volle raggiungere il cielo creando un monte sacro artificiale (sul Monte Sinai invece l’Altissimo si rivelò a Mosè) ovvero un idolo da opporre a D*o e poter competere con D*o; peraltro dare un nome significa conoscere, creare, dominare e avere potere sul nominato, e dato che il Nome per antonomasia è quello dell’Altissimo, “facciamoci un nome” significa spodestare il divino, è davvero autarchia spirituale, idolatria di se stessi.
Con queste premesse, la costruzione non poteva che “crollare”, è immancabile conseguenza dell’incompetenza, piuttosto che una punizione: sono gli uomini che si allontanano da D*o, “Emigrando dall’oriente”, giacchè anche “il Messia verrà dall’oriente” (Lc 1,78-79).
Ma sono tante le letture di queste poche righe, forse è proprio sintomatico di quanto dicevo prima: ogni lettera, ogni parola della Parola, ogni frase suscitano pluralità di ascolti e diversi sensi, oltre l’oppressione del pensiero unico del fondamentalismo ideologico e religioso.
C’è un gioco di parole nel primo Verso, che può essere tradotto anche come “Tutta la Terra aveva una sola lingua e parole singolari (Ahadim)” ma anche in qualche modo “parole prigioniere” (Ahudim) dell’assolutismo, dell’imposizione, dell’oppressione che obbliga alla chiusura psicologica e mentale, alle povertà intellettuale e morale.
La parola unica, univoca, se non è quella dell’Altissimo, è parola degenerata di un idolo, che scimmiotta la lingua primordiale simile a Quella primordiale e creatrice, è il pensiero imposto dal despota accentratore e aggressore, del totalitarismo intollerante che è irrispettoso della diversità altrui; è parola indistinta, omologata, che gli schiavi devono imparare e ripetere quasi come dei pappagalli.
Per questo – in maniera quasi sconcertante – la dispersione delle lingue, la “confusione” delle stesse, non è una punizione ma un dono dell’Altissimo che offre una pluralità di possibilità e concede esperienze e culture; abbiamo già notato che “Kadosh”, cioè “santo”, significa anche “distinto”. Anche in Genesi 12, l’Altissimo comanda ad Abramo: “Lech, Lechà”: “Vàttene dal tuo paese, dalla tua patria, e dalla casa di tuo padre, verso il paese che io ti indicherò”, ma significa anche “và verso te stesso, alla ricerca di te stesso”, e così facendo Avràm diventa Avraham, “padre di una moltitudine di popoli” . L’individualità che si integra nell’universalità.
Molto spesso le parole ebraiche sono metaforiche, e si comprendono meglio se lette al contrario, non è raro che esprimano un significato esattamente capovolto, che fa meglio intendere quello che dobbiamo approfondire. La parola “Babel” che denota “confusione” e in qualche modo “manipolazione e seduzione”, può essere letta al contrario, come “Levav”, che allude viceversa al fascino cordiale, affettuoso, caloroso, suggerisce l’accensione di un fuoco amico o di una luce quando é necessario comunicare. Babele invece non é più affetto umano, ma il ghiaccio che congelerà il nostro desiderio di comunicare.
Queste poche righe di Genesi 11 sono precedute dalla narrazione del Diluvio, e poiché “capitarono in una pianura sulla Terra di Sinaar” (che etimologicamente rimanda al Diluvio, perché Naar può essere tradotto “dispersione”), ad esso vanno correlate; contrariamente a quell’evento, la conseguenza in questo caso non è il castigo della distruzione e della morte, ma viceversa il beneficio della dispersione e della diffusione su tutta la Terra, in tal modo il Santo Benedetto concede una pluralità di lingue e maggiori possibilità, concede generosamente ulteriori libertà, ma anche la piena realizzazione della propria natura biologica: diffondersi e disperdersi su tutta la terra e sui mari. Sta scritto infatti che Dio creò (…) tutti gli esseri viventi che guizzano e brulicano nelle acque, secondo la loro specie, e tutti gli uccelli alati secondo la loro specie. E Dio vide che era cosa buona (…). Siate fecondi e moltiplicatevi e riempite le acque dei mari; gli uccelli si moltiplichino sulla terra. (…).
Questa narrazione pertanto non è invero posta casualmente e distrattamente nella Scrittura, ricordate invece la mia premessa?
Essa è preceduta e seguita dalla descrizione di genealogie, ribadisce la necessità essenziale dell’uomo, quello di crescere, moltiplicarsi, diffondersi.
Se la tragedia del Diluvio universale derivò da spinte disgreganti, l’uomo volle salvarsi artificialmente (e non con il cuore) dal rischio del nuovo Diluvio, attraverso un intento eccessivamente aggregante e monopolizzante, storicamente rappresentato dalla dilagante egemonia Totalitaria Babilonese del Re Nimrod, discendente di Noè per il tramite di Cam: “Ora Etiopia generò Nimrod: costui cominciò a essere potente sulla terra (…) L’inizio del suo regno fu Babele”.
Questa tendenza iper-accentratrice invece contravviene alla necessità biologica fondante per la creatura, che è quella di moltiplicarsi “Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra”, anche per concedere a tutte le genti il messaggio dell’Altissimo, che non è riservato solo al popolo di Israele, popolo Eletto non in quanto oligarca, quanto perché ha fatto suo il dovere di portare a tutti la Parola del Signore.
È il valore edificante della Diaspora: alla fine davvero Il Signore li disperse di là su tutta la terra ed essi cessarono di costruire la città, giacchè “Se il Signore non costruisce la casa, invano vi faticano i costruttori” (Salmo 127).
Bibliografia:
René Guenon: Simboli della Scienza Sacra.
E. Brown, J. A. Fitzmyer, e al.: Il Nuovo Grande Commentario Biblico.
La Bibbia di Gerusalemme.
Mircea Eliade: Trattato di Storia delle Religioni.
Luigi Pruneti: De turribus tenebrarum.
Altro:
Conferenze di Stefano Levi Della Torre, Haim Baharier e Benedetto Carucci Viterbi, pubblicate su YouTube e trasmesse dal programma “Uomini e Profeti”.